Cosa accade in caso di condanna in misura alternativa e condanna con pena sostitutiva che superano un totale di 4 anni?
Le sanzioni sostitutive alle pene detentive brevi
Le sanzioni sostitutive alle pene detentive brevi sono state introdotte con la legge n. 689 del 1981, che le ha dotate di una apposita e snella disciplina. Pene detentive e misure alternative: quali sono le differenze?
È oramai diffusa l’idea secondo cui una detenzione di breve durata comporta costi individuali e sociali maggiori rispetto ai possibili risultati attesi.
Tanto in termini di risocializzazione dei condannati e di riduzione dei tassi di recidiva.
Per tali ragioni la disciplina è stata fortemente incentivata con la Riforma Cartabia (d.lgs. 150 del 2022) che ha ampliato notevolmente l’area della pena detentiva breve sostituibile.
Il nuovo articolo 20 bis c.p. :delle pene detentive brevi la disciplina
Tale articolo introduce le “Pene sostitutive alle pene detentive brevi” e per la disciplina rimane fermo il rinvio alla legge del 1981.
Vengono invece soppressi i riferimenti alla semidetenzione e alla libertà controllata che sono stati aboliti, introducendo quali pene sostitutive la semilibertà sostitutiva, la detenzione domiciliare sostitutiva, il lavoro di pubblica utilità sostitutivo e la pena pecuniaria sostitutiva.
Le pene detentive brevi: l’applicazione
La semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva possono essere applicate dal giudice in caso di condanna non superiori a quattro anni.
Il lavoro di pubblica utilità sostitutivo può essere applicato in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a tre anni.
Infine, la pena pecuniaria sostitutiva può essere applicata dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a un anno.
Il nuovo articolo 20 bis c.p. delle pene detentive brevi: lo schema operativo
La novità introdotta è notevole e impone un cambio di cultura rispondente alla funzione rieducativa della pena e più efficace ed immediatamente esecutiva.
Obiettivo della Riforma, per il tramite dell’art. 20 bis c.p., è quello di porre rimedio ai due tipi di inflazione del sistema penale italiano: quella processuale (numero e dalla durata dei procedimenti penali), e quella carceraria (sovraffollamento).
In tale ottica, il giudice della cognizione torna ad essere il giudice della pena, proiettato sul futuro e sulla possibilità per il condannato di commettere nuovi reati, in ragione di un giudizio prognostico.
Tale giudizio non è più limitato alla concessione della sospensione condizionale della pena ma anche delle pene di cui si discute e alla determinazione delle relative modalità di esecuzione.
Invero, ai sensi dell’art. 545 bis c.p.p. il giudice, con sentenza, se ritiene che ricorrano i presupposti, sostituisce la pena detentiva con una delle pene sostitutive.
Le misure alternative alla detenzione: la disciplina
Le misure alternative alla detenzione sono state introdotte dalla legge di riforma dell’ordinamento penitenziario n. 354 del 1975.
Esse rappresentano uno dei momenti più significativi dell’applicazione del fine rieducativo della pena di cui all’art. 27, comma 3, seconda parte, della Costituzione, agevolando il reinserimento sociale del condannato. Le misure in parola non escludono la condanna ad una pena bensì la presuppongono.
La ratio è quella di creare una serie di “incentivi” e benefici per i condannati, rispondendo al trattamento rieducativo intrapreso presso le strutture penitenziarie.
Le misure alternative alla detenzione sono:
- l’affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 o.p.): consente di espiare la pena detentiva, non superiore a 4 anni, fuori dall’istituto penitenziario per un periodo uguale a quello della pena.
- La detenzione domiciliare (art. 47 ter o.p.): consente di espiare una pena non superiore a 2 anni, nella propria abitazione o altro luogo di privata dimora, cura, assistenza.
- La semilibertà (art. 48 e ss. o.p.): concessione di trascorrere parte del giorno fuori dall’istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale.
Lo schema operativo
Le misure alternative alla detenzione devono essere richieste entro il 30° giorno dalla notifica dell’ordine di esecuzione, se sospeso, oppure dal carcere.
I criteri di ammissibilità alle diverse misure tengono conto innanzitutto dell’entità della condanna, della pena già espiata e da espiare nonché di determinate condizioni soggettive.
L’istanza deve essere presentata al Tribunale di Sorveglianza o, se libero, alla Procura che ha emesso l’ordine di carcerazione.
La compatibilità tra le sanzioni sostitutive a pene detentive brevi e le misure alternative alla detenzione già in esecuzione
Come detto, la nuova disciplina delle pene sostitutive trova la sua naturale collocazione nel giudizio di cognizione ed in ciò risiede una delle novità di maggior impatto della riforma adottata con il d.lgs. n. 150 del 2022.
Non si può pertanto ragionare sul nuovo istituto in termini di sovrapposizione con la disciplina delle misure alternative, pur nella comune finalità delle due discipline.
Corte di Cassazione, sentenza n. 13133 del 2024: il caso
La Corte di Appello di Torino aveva respinto la domanda introdotta dal ricorrente tesa ad ottenere la sostituzione della pena (anni 3 e mesi 10).
Secondo il giudice dell’esecuzione, la domanda non ha potuto trovare accoglimento essenzialmente in ragione del fatto che risultava già in esecuzione un cumulo per fatti commessi in precedenza con affidamento in prova in corso.
Il giudice ha aggiunto “si evidenzia che l’entità complessiva della pena da eseguire (tenendo conto del cuculio già in atto) andrebbe a superare il limite di legge per l’ammissione a una delle pene sostitutive di cui all’art. 20 bis c.p.”.
Il ricorso proposto dal difensore dell’imputato
Il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi:
- erronea applicazione di legge, la misura alternativa non è ostativa, in diritto, alla sostituzione della pena ai sensi dell’art. 20 bis c.p.
- motivazione errata: l’entità dei fatti già in esecuzione non rappresenta un punto specifico richiamati dal legislatore come criteri costituenti il potere discrezionale del giudice.
Il principio di diritto della Corte di Cassazione
L’attenta lettura delle disposizioni introdotte dalla Riforma Cartabia porta a ritenere possibile l’eventuale coesistenza tra una misura alternativa in esecuzione e una pena sostitutiva in un nuovo giudizio.
Questo per 3 ragioni:
- l’art. 61 della legge 689 del 1981 conferma che la condanna ad una pena sostitutiva va indicata nel dispositivo della sentenza, unitamente alla pena che si va a sostituire e pertanto affidata al giudice della cognizione;
- l’art. 53, comma 3, della medesima legge impone di tener conto, ai fini della determinazione del limite di pena detentiva, dell’eventuale pena inflitta per il reato continuato (art. 81 c.p.);
- la disciplina dettata dall’art. 70 della legge 689 del 1981 regolamenta in sede di esecuzione il fenomeno della coesistenza di più titoli.
Il giudice della cognizione decide sempre in via autonoma nell’ambito del “proprio” giudizio, laddove suscitano i presupposti di legge per l’accoglimento della domanda e, soltanto in un secondo momento, può porsi un problema di coesistenza di più titoli.
Va rilevato che “la citata disposizione [art. 70 legge 689 del 1981] non implica la necessaria unificazione dei titoli che comportano pene detentive con quelli che comportano pene sostitutive.
Ciò si desume dal testo del quarto comma ove si legge che le pene sostitutive sono sempre eseguite dopo le pene detentive; dunque, è ben possibile che le sentenze in esecuzione abbiano ad oggetto tanto pene detentive che pene sostitutive”.
Prosegue poi la Corte: “solo nella ipotesi in cui le decisioni da porre in esecuzione siano tutte riferibili a pene sostitutive il legislatore interviene a prevedere la necessità del cumulo (cumulo dunque solo omogeneo), con la conseguenza di imporre il rispetto, in questo caso, del limite massimo dei quattro anni delle pene sostituite”.
La soluzione della Cassazione
Pertanto, la Corte di Cassazione ha ritenuto l’erroneità del presupposto dal quale è partito il giudice nell’ordinanza impugnata: “in nessun caso il giudice che riceve la domanda di pena sostitutiva può respingerla solo in ragione della esistenza di un precedente cumulo di pene detentive in esecuzione”.
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