Cedu condanna l’Italia nella causa contro Marcello Viola.
Dopo aver proposto un excursus storico in merito alle posizioni assunte dalla Corte Costituzionale nel corso degli anni, la quale ha oscillato tra il far valere le ragioni di politica criminale e, altre volte, le ragioni di Costituzione, la Corte Europea torna a pronunciarsi sulla complessa, nonché delicata questione dell’ergastolo ostativo.
L’ergastolo ostativo.
In questa occasione, il thema decidendum risulta essere, però, diverso.
Infatti, non è oggetto di analisi la sproporzione della pena dell’ergastolo comminata ad un reo, bensì l’impossibilità di ridurre de jure e de facto tale pena.
Il quesito sottoposto all’attenzione della Corte concerne la possibilità di subordinare la concessione la liberazione condizionale sostanzialmente, ed esclusivamente, all’istituto della collaborazione con la giustizia.
La Corte Europea sottolinea come l’ordinamento italiano preveda la concessione di benefici progressivi, atti ad accompagnare il detenuto nel suo “percorso verso l’uscita”, strettamente connessi con i progressi in carcere.
La collaborazione con la giustizia.
Il condannato all’ergastolo però, per fruire di tali istituti, è posto dinanzi ad una scelta: collaborare o vedere materializzato il “fine pena mai”.
In primo luogo, la Corte Edu dubita della libertà di tale scelta, trattandosi di una possibilità implicitamente obbligata.
In secondo luogo, la Corte non ha ritenuto possibile equiparare le situazioni di mancata collaborazione con la permanenza dello stato di pericolosità sociale in capo al condannato.
Riprendendo, e facendo proprio, quanto statuito dalla Corte Costituzionale nel 1993, la Cedu sottolinea un elemento importante.
Secondo la Corte, la mancanza di collaborazione non possa essere sintomatica, di per sè, della persistenza dell’adesione ai valori criminali ed al mantenimento dei legami con l’organizzazione criminale.
La Corte rileva altresì come la personalità di un soggetto, sia pure, o per meglio dire, a maggior ragione, ristretto, sia mutevole e possa evolvere durante la fase di esecuzione della pena.
La presunzione assoluta di pericolosità di Marcello Viola
Far discendere dalla mancata collaborazione del condannato una presunzione assoluta di pericolosità, porterebbe quale conseguenza l’impossibilità per il condannato di riscattarsi:
“qualunque cosa faccia in carcere, la sua pena rimane immutabile”.
Ed è proprio in questo automatismo ed in questa presunzione che viene integrata una violazione dell’art. 3 della Convenzione.
“Il regime vigente riconduce in realtà la pericolosità dell’interessato al momento in cui i reati sono stati commessi, invece di tenere conto del percorso di reinserimento e dei progressi eventualmente compiuti a partire dalla condanna”.
Da ultimo, la Corte evidenzia come l’introduzione dell’art. 4 bis o.p. ha inteso fronteggiare un contesto temporaneo di emergenza.
Questa norma non può però elidere la portata dell’art. 3 della Convenzione che, in ogni tempo, pone il divieto assoluto di applicazione di pene inumane o degradanti.
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: Ricorso n. 77633/16.
Avv. Fabio Ambrosio, Dott.ssa Martina Isella