Il reato ambientale di scarico di acque reflue e la responsabilità amministrativa dell’ente: può essere punita l’occasionalità della condotta?
La sentenza della Corte di Cassazione n. 3157/2020, affrontando il tema della responsabilità amministrativa dell’ente ai sensi dell’art. 25 undecies D.Lgs. 231/2001, fornisce importanti spunti di riflessione.
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L’oggetto di analisi ha riguardato il reato ambientale di scarico di acque reflue industriali oltre i limiti tabellari di cui all’art. 137 co. 5 D.Lgs. 152/2006.
Il reato di scarico di acque reflue
La fattispecie contravvenzionale di cui all’attuale art. 137 D.Lgs. 152/2006 risulta finalisticamente orientata a contrastare e sanzionare una serie eterogenea di condotte concernenti il sistema di scarico delle acque reflue.
La norma ha ad oggetto varie ipotesi di sversamento di acque di scarico.
Al ricorrere di presupposti espressamente previsti dal legislatore, gli versamenti possono essere penalmente rilevanti e, pertanto, meritevoli di apposita sanzione penale.
Si specifica come la fattispecie incrimini esclusivamente comportamenti afferenti la mala gestio di un tipo particolare di acque reflue, ovverosia quelle industriali.
Vengono infatti qualificate come reflui industriali “qualsiasi tipo di acque scaricate da edifici o impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni”.
La normativa tende a sottolineare la differenza rispetto alle acque reflue domestiche ed, in particolare, alle acque nere.
I criteri che le distinguono dalle altre sono dunque quelli della qualità e della provenienza.
I limiti per lo scarico sono più restrittivi e deve essere fatta una richiesta di autorizzazione preventiva, pena pesanti sanzioni, atteso che lo scarico senza autorizzazione integra il reato di scarico abusivo.
Il reato di scarico di acque reflue e responsabilità amministrativa dell’ente ai sensi del D.Lgs 231/2001
Nella vicenda oggetto di giudizio, la condanna della società è avvenuta “per non aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del predetto reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della stessa specie commessi per conto e nell’interesse della Società”.
La Corte si è preliminarmente pronunciata sull’asserita incompatibilità del requisito dell’interesse o vantaggio con la natura dei reati colposi ambientali.
Ha poi ribadito come gli stessi debbano essere delineati alla luce della condotta e non anche dell’evento lesivo, secondo il solco interpretativo tracciato anche dalle Sezioni Unite. (Cass. Pen., Sez. Un., 24 aprile 2014, n. 38343).
Il concetto di vantaggio dell’ente
Infatti, a titolo esemplificativo, in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, il vantaggio per l’ente può essere facilmente ravvisato nel risparmio di costi o di tempo che lo stesso avrebbe dovuto sostenere per adeguarsi alla normativa prevenzionistica, la cui violazione ha determinato l’infortunio sul lavoro.
Principio, questo, che, secondo la Cassazione, trova necessaria applicazione anche con riferimento alla fattispecie in esame, ovvero una contravvenzione punibile sia a titolo di dolo che di colpa.
“l’interesse e il vantaggio vanno individuati sia nel risparmio economico per l’ente determinato dalla mancata adozione di impianti o dispositivi idonei a prevenire il superamento dei limiti tabellari, sia nell’eliminazione di tempi morti cui la predisposizione e manutenzione di detti impianti avrebbe dovuto dare luogo, con economizzazione complessiva dell’attività produttiva.
L’occasionalità della condotta dell’ente
La sentenza in commento è particolarmente interessante soprattutto per l’analisi del concetto di “occasionalità” della violazione.
Questo parametro utilizzato dalla difesa voleva escludere la sussistenza di una politica d’impresa finalizzata al conseguimento di un’utilità da parte dell’ente.
La Suprema Corte ha tuttavia respinto le doglianze proposte dalla società, a fronte dell’asserita sistematicità della condotta
“atteso che, come da imputazione, il superamento dei limiti venne riscontrato in tre diverse date […] in occasione di altrettanti campionamenti, ben potendo dunque ritenersi che la mancata predisposizione di cautele atte ad evitare l’inquinamento si sia inserita all’interno di scelte aziendali consapevoli”.
Si tratta tuttavia di un passaggio fondamentale, atteso che, argomentando a contrario, la Cassazione sembrerebbe invece propensa ad affermare che un unico, occasionale, superamento potrebbe essere indice della mancanza di interesse o vantaggio per l’ente.
La precedente giurisprudenza di legittimità, in maniera estremamente rigorosa e particolarmente punitiva, ha sempre escluso che l’occasionalità della condotta potesse escludere la sussistenza del reato presupposto, a prescindere da ogni ulteriore valutazione.
La novità giurisprudenziale
La pronuncia in esame sembrerebbe invece riconoscere particolare rilevanza all’accertamento giudiziale del reato di cui all’art. 137 co. 5 D.Lgs. 152/2006.
Nel caso in cui il reato non sussista, sarebbe superflua ogni valutazione in merito ai presupposti applicativi della responsabilità amministrativa dell’ente.
È necessario, infatti, che i campioni dei reflui industriali prelevati ed oggetto di contestazione siano effettivamente rappresentativi delle condizioni dello scarico, prima di poter giungere a qualsivoglia rimprovero nei confronti della persona fisica e, conseguentemente, dell’ente.
Per tale motivo risulta indispensabile procedere con un approccio esegetico che non si limiti ad accertare il mero superamento dei limiti tabellari sanciti dal D.Lgs. 152/2006.
L’evento dovrà quindi essere coordinato e razionalizzato alla luce di tutte le altre evidenze probatorie, al fine di consentire al giudicante di elaborare, rispetto al reato presupposto, una motivazione accurata ed approfondita delle ragioni a fondamento della responsabilità dell’agente.
Alla luce del nuovo, auspicabile, orientamento interpretativo, il superamento del tutto occasionale dei limiti tabellari non potrebbe escludere a priori la sussistenza del reato presupposto, data la sua natura di reato di pericolo presunto, e dunque la responsabilità della persona fisica.
Tuttavia dovrebbe assumere rilevanza tale da evitare una condanna per la società ai sensi della disciplina ex D.Lgs 231/2001, allorché l’unicità della violazione sia idonea ad evidenziare la mancanza di una politica aziendale orientata al risparmio di spesa o alla massimizzazione della produttività, stante l’assenza dei presupposti dell’interesse o del vantaggio richiesti per la configurazione della responsabilità amministrativa in capo all’ente.